Contributi versati dal datore di lavoro per patto di non concorrenza
Sono un dirigente di un azienda italiana società a responsabilità limitata.
Il mio contratto di lavoro prevede un patto di non concorrenza dopo la cessazione del rapporto di lavoro.
L'accordo prevede che l'azienda corrisponda una somma pari al 100% della mia retribuzione annua per due anni suddivisa in 12 mensilità ogni anno.
La mia domanda è : L'AZIENDA E' TENUTA A PAGARE ANCHE TUTTI I CONTRIBUTI PREVIDENZIALI DI LEGGE SU QUESTE SOMME CORRISPOSTE A TITOLO DI PATTO DI NON CONCORRENZA DOPO LA CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO ?
GRAZIE
In tal caso, l'azienda sarà tenuta a pagare tutti i contributi previdenziali previsti dalla legge, in ragione delle seguenti circostanze:
1) Il corrispettivo del patto di non concorrenza sarà tassato con le aliquote ordinarie progressive IRPEF, esattamente come lo stipendio.
2) In concreto, nei due anni relativi al patto di non concorrenza, non potrai svolgere, (per niente !!!), il tuo lavoro di manager, in ragione dell'estensione territoriale e professionale del patto medesimo; non puoi lavorare in tutto il territorio nazionale e relativamente all'intero settore della vendita degli apparecchi acustici (l'estensione del patto di non concorrenza è al livello massimo consentito dalla legge - mi riferisco all'articolo 2125 del codice civile - non riguarda una singola provincia o regione!!!).
Articolo 2125 del codice civile
Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell'attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata.
3) Se il corrispettivo del patto di non concorrenza fosse stato versato in un'unica soluzione, tale importo sarebbe stato tassato, esattamente come il trattamento di fine rapporto, ossia a tassazione separata (il TFR non fa cumulo con gli altri redditi, ai fini IRPEF); in tal caso, il datore di lavoro non avrebbe dovuto versare i contributi previdenziali, previsti dalla legge.
Insomma, la regola generale è la seguente: se il corrispettivo del patto di non concorrenza si configura giuridicamente, come un surrogato dello stipendio, da erogare mensilmente, in ragione di una limitazione all'attività del manager piuttosto estesa, da un punto di vista territoriale e professionale, l'azienda dovrà versare i contributi (… come se il manager continuasse a lavorare per l'azienda).
Se il corrispettivo del patto di non concorrenza si configura giuridicamente, come il TFR, essendo erogato in unica soluzione ed essendo sottoposto a tassazione separata (non fa cumulo ai fini IRPEF), l'azienda non dovrà versare i contributi; in tal caso però il patto deve essere limitato alla singola regione o provincia, in quanto il lavoratore deve essere messo in condizione di continuare a lavorare, al fine di maturare i contributi pensionistici. Cordialità.
Fonti:
- Art. 2125 del codice civile