Vuoi chiedere una consulenza online ai nostri Avvocati?
RICHIEDI SUBITO UNA CONSULENZA

4 Consulenze:

1 - Diritto del lavoro - Incompatibilità del dipendente pubblico e contratto di lavoro part-time



 

Sono vincitrice del concorso indetto dal Ministero dei Beni Culturali del 18 luglio 2008 (categoria assistente alla vigilanza, fascia retributiva F3). Andrò a firmare settimana prossima il contratto. Potrebbe succedere, come è già accaduto in altre regioni, che mi venga chiesto di chiudere la partita iva poiché il Mibac pretende l'esclusività del rapporto di lavoro? E' successo a un mio conoscente architetto in Liguria, vincitore dello stesso concorso e per la stessa categoria. Io sono una storica dell'arte titolare della partita iva regolata dal regime dei minimi. Non sono soggetta agli studi di settore, non sono iscritta ad alcun albo né ad alcuna cassa particolare, non devo addebitare l'iva nelle mie fatture in virtù del comma 100 dell'articolo 1 della finanziaria 2008.

Una volta assunta dal Ministero so già che avrò diritto, previa autorizzazione del dirigente, effettuare collaborazioni occasionali.
La partita iva con regime dei minimi credo che abbia caratteristiche diverse rispetto a quella tradizionale regolata dal DPR 633/72 secondo cui

1. Per esercizio di arti e professioni si intende l'esercizio per professione ABITUALE, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche ovvero da parte di società semplici o di associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l'esercizio in forma associata delle attività stesse.

La mia partita iva non ha necessità dell'esercizio ABITUALE. Io potrei anche guadagnare 0 Euro in un anno, pur tenendola aperta. E' legittimo quindi che mi venga chiesto di chiuderla? in quel caso qual è la legge che me lo impone? E se invece posso tenerla aperta, qual è la legge che me lo consente?

Ringrazio per l'attenzione.



RISPOSTA



Dovrai chiudere la partita Iva, ma, dopo avere superato il periodo di prova, potrai riprendere la tua attività professionale, passando ad un rapporto di lavoro part-time al 50%.

L’argomento delle incompatibilità del dipendente pubblico è un tema quanto mai attuale. A partire dalla «privatizzazione” dell’impiego pubblico, la disciplina delle incompatibilità è stata oggetto di una duplice complessiva riforma: la prima, realizzata nel 1993, dal d.lgs. n. 29 e dal suo art. 58; la seconda, portata a termine nel 1998, dal d.lgs. n. 80, che, all’art. 26, ha riscritto l’art. 58 succitato nei commi dal sesto al sedicesimo. In seguito, si è poi aggiunta tutta una legislazione d’incentivazione del part-time nella pubblica amministrazione, di non facile armonizzazione con la precedente normativa sull’incompatibilità.
Prima gli artt. 1, commi 56-65, della 1. 23 dicembre 1996, n. 662 e 6 del d.l. 28 marzo 1997, n. 79 conv. in 1. 25 maggio 1997, n. 140 e relative circolari applicative, poi, l’art. 17, comma 18, della 1. 15 maggio 1997, n. 127 hanno ridisegnato il regime delle incompatibilità per i lavoratori a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, consentendo a questi ultimi di aprire una partita Iva e di svolgere un’attività professionale esterna; la normativa è ispirata dall’intento del legislatore di rendere appetibile il passaggio del dipendente pubblico dal full-time al part-time. La legge quindi ha contestualmente rafforzato le incompatibilità dei dipendenti a tempo pieno, nonché l’intero apparato sanzionatorio.

Tanto premesso, ritengo opportuno delineare un breve panorama normativo, in ordine alla disciplina legislativa di riferimento, sia in relazione al regime generale delle incompatibilità e sia riguardo la specifica autorizzazione all’esercizio di incarichi retribuiti.

Il d.lgs. n. 29/1993 ha provveduto, per un verso, a confermare il tradizionale regime pubblicistico delle incompatibilità, per l’altro, a conferire efficacia generale agli artt. 60-65 d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3, oggi applicabili, ex art. 58, primo comma, d.lgs. n. 29/1993, a tutte le categorie di pubblici dipendenti, con esclusione solo del personale impiegato in settori particolari — tra cui sanità, scuola, enti lirici - per i quali trova esplicita salvezza la normativa speciale.

E’ un’incompatibilità a svolgere attività professionali esterne pressoché assoluta, con eccezioni del tutto residuali, quella disegnata dagli artt. 60-65 d.p.r. n. 3/1957: in virtù di tali disposizioni, richiamate, come visto, dall’art. 58,- primo comma, d.lgs. n. 29/1993, continuano ad esser vietate al pubblico dipendente le attività di lavoro subordinato o autonomo ed in particolare le libere professioni, nonché ogni forma di attività commerciale, ivi compresa l’assunzione di cariche gestionali in società aventi scopo di lucro. In considerazione della suddetta norma, il tuo datore di lavoro pubblico ti impone di chiudere la tua partita Iva.

Un temperamento a tal rigoroso principio di incompatibilità viene apportato, invece, dal secondo comma dell’art. 58, sullo specifico versante degli incarichi: il loro conferimento, vietato in linea generale e di principio, diviene del tutto lecito in presenza di espressa previsione legale o di autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza. Rientrano, peraltro, nell’ambito di applicazione della norma solo quelli che il sesto comma dell’art. 58, definisce come "incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri d’ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso”, con esclusione, oltretutto, dei casi in cui tale compenso sia connesso allo svolgimento di attività, tassativamente elencate da questa stessa norma, sul presupposto della loro inidoneità ontologica a sollevare situazioni di incompatibilità.

I discorsi sin qui condotti sottolineano un dato inconfutabile: ferme le ipotesi di esplicita salvezza della disciplina speciale a carattere settoriale, per cui valgono discorsi diversi e peculiari (si veda, emblematicamente, il caso del personale docente della scuola o del personale medico), il regime generale delle incompatibilità conosce graduazioni diverse a seconda dell’attività nello specifico rilevante; quindi sarà sempre necessario tenere conto di una fondamentale distinzione tra attività assolutamente incompatibili, attività relativamente incompatibili, attività compatibili con lo svolgimento di una prestazione lavorativa alle dipendenze di una pubblica amministrazione.

1. Le attività assolutamente incompatibili.

Si tratta di quelle previste dal d.p.r. n. 3/1957: costituzione di altro rapporto di lavoro a carattere subordinato o autonomo, compreso l’esercizio delle libere professioni; cumulo di impieghi pubblici; effettuazione di attività commerciali, ivi compresa l’assunzione di cariche gestionali in società aventi scopo di lucro. Queste attività sono sempre vietate al pubblico dipendente; lo sono inderogabilmente, tant’è che un’eventuale autorizzazione al loro esercizio sarebbe del tutto illegittima, per palese contrasto con una norma imperativa di legge.

2. Le attività relativamente incompatibili.

Sono quelle che formano oggetto di incarichi retribuiti, ai sensi e per gli effetti del sesto comma, dell’art. 58 d.lgs. n. 29/1993. Per la loro estraneità ai compiti e ai doveri d’ufficio, dette attività sono, in linea di principio, incompatibili con il rapporto di pubblico impiego. Tuttavia, questa incompatibilità può essere superata ogni qualvolta l’incarico relativo sia espressamente previsto o disciplinato dalla legge ovvero esplicitamente autorizzato.

3. Le attività compatibili.

Sono, ai sensi del sesto comma, dell’art. 58 d.lgs. n. 29/1993, quelle fatte oggetto di incarichi gratuiti, nonché le attività, che, pur rientrando nell’ambito di un incarico retribuito, consistano in:

·collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;
·utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali;
·partecipazione a convegni e seminari;
·incarichi per i quali è corrisposto il solo rimborso delle spese documentate;
·incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo;
·incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita.

Queste attività sono sempre consentite, tant’è che la loro assoluta compatibilità con il rapporto di impiego pubblico le rende estranee a qualsiasi procedimento autorizzatorio.

Il particolare regime dei minimi, ha rilevanza esclusivamente fiscale e pertanto, non può considerarsi un motivo di eccezione alle norme generali, non fosse altro per il semplice fatto che la legge non lo prevede espressamente tra i casi giuridici derogatori della disciplina generale delle incompatibilità del dipendente pubblico.

Un discorso a parte merita la disciplina dell’incompatibilità per i lavoratori pubblici titolari di un contratto part-time. Con riguardo a questi, il primo comma dell’art. 58 sancisce l’applicabilità dell’art. 6, secondo comma, del d.p.c.m. n. 117/1989, così generalizzando quel principio di incompatibilità solo relativa, che consente l’esercizio di altra attività lavorativa previa autorizzazione ad opera dell’amministrazione di appartenenza.

Come già si accennava in precedenza, l’utilizzo del contratto di lavoro part -time in funzione di razionalizzazione e ridimensionamento della spesa pubblica per il personale ha prodotto, a partire dal ‘96, tutta una normativa di incentivazione del passaggio dal tempo pieno al tempo parziale nell’impiego pubblico. La legge n. 662/1996 - applicabile a tutte le pubbliche amministrazioni, eccetto gli enti strutturalmente deficitari e la cui pianta organica preveda un numero di dipendenti inferiore alle cinque unità - da un lato, ha ampliato l’ambito di applicazione della fattispecie; sicché oggi, il lavoro a tempo parziale esterno alla P.A. di appartenenza, è consentito a qualsiasi dipendente, a prescindere dal profilo professionale di riferimento, con esclusione dei soli dirigenti, nonché del personale militare, di quello delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco (art. 1, comma 57 e circolare ministeriale n. 3/1997).
La legge ha previsto inoltre l’inapplicabilità del regime ordinario dell’incompatibilità a tutti i part-timers con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno (art. 1, comma 56, 1. n. 662/1996). La previsione, ripresa dallo stesso art. 58, comma 6, d.lgs. n. 29/1993 con specifico riguardo agli incarichi retribuiti, consente a tutti i dipendenti, con orario di lavoro non eccedente la metà di quello normale, l’esercizio, salvo ipotesi di conflitto di interessi, di una seconda attività lavorativa o di specifici incarichi retribuiti, senza bisogno di autorizzazione ad opera dell’amministrazione di appartenenza. 

Continua, invece, rimanere totalmente esclusa la possibilità di cumulare un lavoro pubblico part-time con un altro rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, se si eccettua la previsione dell’art. 17, comma 18, 1. n. 127/1997, che consente, ma solo negli enti locali, di affiancare al proprio impiego pubblico part-time una seconda attività lavorativa da svolgersi presso altro ente pubblico. Infine, per il caso in cui la seconda attività del lavoratore a tempo parziale (s’intende, con prestazione sino al 50%) abbia carattere libero­ -professionale, professionale si da implicare l’iscrizione ad albi, l’art. 6, comma 2, della L n.    140/1997 introduce un divieto espresso di ricevere di incarichi professionali da parte di qualsiasi pubblica amministrazione, così come il divieto di assumere il patrocinio in controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione (il riferimento alla fattispecie dell’esercizio della professione forense è evidente).

Spero di avere soddisfatto le tue curiosità in materia di incompatibilità del dipendente pubblico.

In sintesi: il datore di lavoro ti chiederà legittimamente di chiudere la partita IVA.

Dovrai pertanto chiuderla e, dopo avere superato il periodo di prova, chiederai di passare ad un rapporto di lavoro part-time al 50%. Aprirai un'altra partita Iva, e continuerai a svolgere la tua attività professionale, senza necessità di una specifica autorizzazione del Ministero.

Cordiali saluti.



2 - Iscrizione albo forense pubblico dipendente incompatibilità con professione avvocato





Un dipendente pubblico appartenente alle FF.AA. in aspettativa, può iscriversi all'ordine degli avvocati considerato che la nuova legge professionale (L. 247/12) all'art. 18, lett. d) dispone che sussiste incompatibilità con "qualsiasi attività di lavoro subordinato"?



RISPOSTA



Attenzione, la nuova legge professionale forense prevede che l'avvocato non possa svolgere qualsiasi attività di lavoro subordinato.
Tu sei un pubblico dipendente, assoggettato anche alle incompatibilità di cui all'articolo 53 del testo unico pubblico impiego, decreto legislativo 165 del 2001.
I pubblici dipendenti non possono svolgere attività professionali autonome, salvo i dipendenti “con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali”.

Per effetto della legge 339 del 2003 (… e della normativa a cui tale norma rinvia), è comunque vietato ai dipendenti pubblici (anche quelli in part time ridotto ovvero in aspettativa), l'esercizio della professione legale, con relativa iscrizione all'albo.
Il dipendente in aspettativa potrebbe iscriversi in qualsiasi albo professionale, salvo quello previsto per gli avvocati. Gli unici dipendenti pubblici che possono iscriversi nell'albo forense sono i docenti universitari e gli insegnanti della scuola secondaria. Non possono iscriversi all'albo forense gli appartenenti alle forze armate, alle forze di polizia, nemmeno nel caso in cui abbiamo chiesto ed ottenuto l'aspettativa non retribuita, dal datore di lavoro.


Siamo a disposizione per ulteriori chiarimenti.

Cordiali saluti.



3 - Il dipendente pubblico può essere editore del libro di cui è autore, senza chiedere l'autorizzazione ad incassare i compensi alla sua amministrazione di competenza.





Buongiorno,
sono un dipendente pubblico (insegnante di inglese a tempo parziale, con 2/3 di orario) e ho pubblicato (come autore/EDITORE, appoggiandomi al sito di Streetlib) un ebook con 200 mie poesie per l'infanzia (che nulla hanno a che vedere con le mie competenze professionali). Mi è venuto il dubbio che, in questo caso, l’eventuale compenso che percepirò, non rientri nei semplici diritti d’autore!

Posso mantenerlo in vendita?

E se così fosse devo chiedere il permesso alla mia Amministrazione?

Ringrazio anticipatamente per questo chiarimento.

RISPOSTA



L'articolo 53 del testo unico pubblico impiego elenca le fattispecie di compensi esclusi dalle ipotesi di incompatibilità del pubblico dipendente.

Ecco cosa prevede la norma di legge:

“Sono esclusi i compensi derivanti:
a) dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;
b) dalla utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali;
c) dalla partecipazione a convegni e seminari;
d) da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;
e) da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo;
f) da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;
f-bis) da attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione nonché di docenza e di ricerca scientifica”

In quanto editore-autore del libro che hai messo in vendita, percepirai non soltanto i diritti di autore ma i ricavi di vendita. Si tratta di profitti e compensi di lavoro autonomo non derivanti da attività professionali, ma da opere di ingegno e pertanto occasionali e perfettamente compatibili con l'attività lavorativa di pubblico dipendente, ai sensi della lettera B del comma 6 dell'articolo 53 del decreto legislativo 165 del 2001. Tra le altre cose, considerato l'argomento del libro, non potrebbe sussistere alcun conflitto di interessi con il datore di lavoro pubblico.

Non occorre preventiva autorizzazione/informazione del datore di lavoro.

A disposizione per chiarimenti.

PS. il discorso sarebbe completamente differente se per professione, facessi l'editore, pubblicando abitualmente anche opere di altri autori …

 

4 - Incompatibilità dipendente polizia penitenziaria socio di srl commerciale non prestatore d'opera





Salve, la presente a titolo di richiesta parere.
Sono un dipendente a tempo pieno ed indeterminato del Ministero della giustizia (dipartimento Polizia Penitenziaria).
La mia domanda è la seguente, posso rivestire la qualifica di socio di capitale, non prestatore di opera, in una SRL?
Secondo il D. Lgs 443 del '92 (Ordinamento del Personale) all'art. 35 (incompatibilità).
Recita l'articolo: Il personale del Corpo di polizia penitenziaria non può esercitare il commercio, l'industria né alcuna professione o mestiere o assumere impieghi pubblici o privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, salvo i casi previsti da disposizioni speciali. Il divieto di cui al comma 1 non si applica nei casi di società cooperative, edilizie, ricreative, culturali, e sportive, di servizio socio sanitario, tra consumatori non costituenti come quell'attività commerciali. L'investimento in questa Srl mi darà la possibilità di diventare socio di una società di capitali acquisendo diritti patrimoniali ed eventualmente anche amministrativi ( es. i diritti di voto, per investimenti oltre i 100.000 €)
Cordiali Saluti

RISPOSTA



Ritengo di escludere la facoltà, per il personale del corpo di polizia penitenziaria, di assumere lo status giuridico di socio di una società di capitali (SRL), seppure senza essere prestatore di opera. Sebbene tale divieto non sia contenuto della norma generale in materia di incompatibilità del pubblico dipendente, ossia l'articolo 53 del testo unico pubblico impiego, decreto legislativo n. 165/2001, ci sono norme speciali che prevalgono sulla normativa generale. Mi riferisco innanzitutto all'articolo 6 comma 6 del codice di comportamento del personale del Ministero della giustizia:

“Al personale con prestazione lavorativa a tempo pieno o a tempo parziale superiore al cinquanta per cento è fatto altresì divieto di esercitare attività commerciale, industriale, professionale o di assumere impieghi alle dipendenze di privati o di accettare cariche in società costituite a fine di lucro, fatti salvi i casi nei quali l’esercizio di determinate attività sia espressamente prevista o consentita dalla legge”.

CODICE di COMPORTAMENTO dei DIPENDENTI del MINISTERO della GIUSTIZIA

Attenzione, secondo il codice di comportamento ministeriale, è fatto divieto di esercitare attività commerciale, a prescindere dalla forma giuridica dell'impresa, ossia indipendentemente che si tratti di ditta individuale anziché società di persone oppure di capitali.

Abbiamo poi l'articolo 35 del D. Lgs 443 del 92 che fa il verso al codice di comportamento dei dipendenti del ministero della giustizia, prevedendo anche alcune eccezioni alla regola generale: le società cooperative edilizie (una soluzione pratica ed economica per acquistare casa …), gli enti societari privi di connotazione commerciale, avendo finalità ricreative, sportive etc etc

Art. 35 D. Lgs 443 del 92 (Incompatibilità)
1. Il personale del Corpo di polizia penitenziaria non può esercitare il commercio, l'industria né alcuna professione o mestiere o assumere impieghi pubblici o privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, salvo i casi previsti da disposizioni speciali.
2. Il divieto di cui al comma 1 non si applica nei casi di società cooperative edilizie, ricreative, culturali e sportive, di servizio socio-sanitario, tra consumatori non costituenti comunque attività commerciali.

“Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”: "Dove la legge ha voluto ha detto, dove non ha voluto ha taciuto"

All'articolo 35 del D. Lgs 443 del 92, il legislatore non ha indicato tra le “eccezioni” alla regola generale, “l'acquisto di quote di società di capitali, senza assumere cariche amministrative oppure poteri gestionali”. Di conseguenza, secondo i canoni interpretativi dell'ordinamento giuridico, non essendo stata indicata tra le eccezioni, alla fattispecie “de quo” si applicherà la regola generale, ossia il divieto di esercizio del commercio, tramite lo strumento societario.

A disposizione per chiarimenti.

Cordiali saluti.

Fonti: